Storia del Partito Liberale Italiano by Pierluigi Barrotta

Storia del Partito Liberale Italiano by Pierluigi Barrotta

autore:Pierluigi Barrotta [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rubbettino Editore
pubblicato: 2019-11-27T15:05:35+00:00


3. La svolta del centrosinistra

Il percorso verso il primo governo di centrosinistra si sarebbe rivelato assai accidentato. Dopo soli due mesi dal congresso liberale, il governo Fanfani cadde. Fu una crisi causata non da dissensi sul programma all’interno della maggioranza, ma dalle lotte interne alla Democrazia cristiana. Il potere acquisito da Fanfani era mal tollerato da una parte della Dc e i «franchi tiratori» entrarono più volte in azione. Per Fanfani fu questo un duro colpo: dopo la crisi del suo governo si dimise anche da segretario del partito.

La temporanea uscita di uno dei più tenaci avversari di Malagodi dava, almeno all’apparenza, qualche speranza ai liberali. Al governo di Fanfani, succedette il secondo governo di Antonio Segni, la cui di natura era assai diversa dal precedente governo Fanfani. La maggioranza del primo era stata definita di «centrosinistra», non per la presenza dei socialisti, ma semplicemente per l’assenza dei liberali, giudicata essenziale per poter giungere a un centrosinistra vero e proprio; il governo Segni era invece un monocolore con il sostegno esterno dei liberali, dei monarchi e dei missini. Una svolta che sarebbe potuta apparire come la premessa per il successivo ritorno della formula centrista. O, almeno, questa era la speranza di Malagodi, che, con una retorica speculare a quella di Fanfani, nel suo discorso alla Camera definì di «centro» il governo presieduto da Segni: «il Governo Segni – disse Malagodi alla Camera – rappresentava e rappresenta necessariamente un ritorno dell’asse governativo e quindi dell’asse della politica italiana verso il centro»29. Vari esponenti di primo piano del partito, come Cocco-Ortu e Valitutti non erano convinti sull’opportunità di dare la fiducia al governo, ma nella realtà dei fatti era questo un passo obbligato per Malagodi. Egli doveva tener viva l’esistenza di un’alternativa possibile al centrosinistra, e il secondo governo Segni, almeno nelle speranze di Malagodi, ne era una testimonianza. Ovviamente, lo disse anche alla Camera, Malagodi era ben consapevole che i monocolori era formule «fragili»30, ma il nuovo governo teneva aperta la ricomposizione di una maggioranza centrista, che rimaneva l’obiettivo di Malagodi. Lo sostenne espressamente nella sua relazione al consiglio nazionale del settembre del ’59. Dopo aver sottolineato i limiti del governo Segni, che non disponeva di una maggioranza politica, Malagodi disse con enfasi: «Oggi v’è solo una maggioranza politica possibile, che risponde non solo a esigenze numerico-parlamentari, ma anche ai bisogni profondi del paese. O si torna in tempi ragionevoli all’alleanza democratica o si va nel caos»31.

Malagodi aveva ragione sulla fragilità del governo presieduto da Segni. Il congresso della Democrazia cristiana che si svolse nell’ottobre del ’59 a Firenze non diede rassicurazioni a Malagodi. Il secondo governo Segni era sì un governo di transizione, ma la transizione stava andando nella direzione opposta a quella auspicata da Malagodi. Nello scontro per la segreteria della Dc, vinse Aldo Moro a scapito di Fanfani. Tuttavia, anche Moro si espresse chiaramente a favore dell’apertura verso i socialisti. Insieme a un omaggio formale ai liberali (Moro affermò che «non [poteva] essere assente il ricordo di passate



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